Cosa sono i mala: cenni storici e significato
I mala sono ghirlande indiane composte da 108 grani. Vengono utilizzati sia dagli induisti che dai buddisti e rappresentano per i devoti di entrambe le religioni degli strumenti di preghiera e di meditazione. Il significato del termine mala è infatti “rosario”: questi oggetti sono composti da perle, pietre o semi naturali e servono a conteggiare le formule sacre indirizzate alla divinità.
Di fatto non vi è perciò alcuna differenza tra un mala tibetano, buddista o indiano. La struttura di questi articoli devozionali è infatti sempre la stessa: oltre ai 108 grani vi è un ultimo seme – diverso dagli altri per dimensione, forma o colore – che chiude la corona e che segnala per questo la fine della pratica rituale.
I mala sono di solito formati dai rudraksha, ossia i piccoli semi di color ramato provenienti dalla pianta Elaeocarpus angustifolius. I grani di queste corone possono essere composti anche dai semi del loto, dal legno di tulsi e dal legno di sandalo. Tutte queste piante hanno in comune tra loro il fatto di essere percepite come sacre dalla tradizione indiana oppure di essere apprezzate dalla medicina ayurvedica per le loro virtù officinali. Meno diffusi in oriente, ma comunque reperibili in commercio, sono infine i mala realizzati con i minerali naturali.
Secondo la tradizione esoterica ogni materiale può essere concepito come un veicolo di poteri, virtù ed energie sottili per il corpo e per la mente. Ogni pietra, cristallo o legno è in grado di condizionare perciò positivamente chi lo indossa e può essere sfruttato per potenziare alcuni aspetti della propria personalità o per migliorare il proprio benessere psicofisico.
Chi si accinge ad utilizzare un mala per la prima volta è bene che indirizzi la scelta verso quello più indicato per le sue specifiche esigenze: anche la valutazione del materiale è perciò un aspetto importantissimo da considerare. I mala possono essere indossati anche come semplici accessori ornamentali o come amuleti di protezione e buon auspicio. Si possono portare al collo come collane oppure al polso come bracciali. I grani possono essere infatti anche di numero inferiore a 108 purché siano multipli di 9. Secondo il pensiero indiano avere indosso un mala permette inoltre di essere connessi ed uniti con la divinità.
I mala, benché richiamino alla forma dei rosari cattolici, sono in realtà molto più antichi di questi ultimi: il rosario cristiano risale infatti al XIII secolo mentre la prima attestazione dei mala è datata al II secolo a.C. I primi a realizzare e ad utilizzare questi oggetti furono i popoli buddisti vissuti a Maharashtra due secolo prima della nascita di Cristo; i mala vennero infine esportanti al di fuori dell’India in seguito ai processi di espansione della religione buddista.
Come si utilizzano i mala tibetani
Come già si è accennato sopra, i mala possono essere usati per la recita di preghiere, per la ripetizione di canti sacri ma anche per l’enunciazione di formule magiche e di espressioni rituali come sūtra, mantra e dhāraṇī. Il principale scopo di queste corone è infatti quello di aiutare a non distogliere l’attenzione dalle pratiche spirituali.
I mala vanno sorretti con la mano destra e vanno fatti scorrere tra l’anulare ed il pollice in direzione oraria. Ad ogni grano corrisponde una preghiera e si procede in questo modo fino al termine della circonferenza. Una volta giunti all’ultimo seme si può continuare la preghiera retrocedendo in senso contrario.
Mentre la mano destra è sollevata vicina al petto e sostiene il mala, la sinistra è invece aperta verso l’alto ed è appoggiata vicino al grembo. La posizione ideale per la meditazione e la preghiera è quella seduta con le gambe in crociate oppure in ginocchio con la schiena ben dritta e rilassata. Se questa posizione diventa scomoda si può anche decidere di abbassare la mano destra e di appoggiarla sopra al rispettivo ginocchio.