La pianta del cacao
I baccelli di cacao assomigliano molto, sia per dimensione sia per forma, a un pallone da rugby un po' sgonfio e contengono da trenta a quaranta semi ciascuno. I semi, che vengono definiti fave, hanno le dimensioni di una mandorla e sono racchiusi in una polpa bianca e appiccicosa simile allo yogurt. La polpa è deliziosa, dolce e acidula. [...]
Il cammino per passare dalle fave di cacao al prodotto finito, il cioccolato, è lungo e ricco di sorprese, ed è molto interessante percorrerne le varie fasi. Questo ci aiuterà, inoltre, ad apprezzare ancora di più quel meraviglioso sapore a cui siamo talmente abituati da considerarlo scontato e ci fornirà informazioni sulle differenti caratteristiche e sulla qualità dei vari tipi di cioccolato, indicazioni che ci saranno utili al momento della scelta.
Una buona pianta di cacao può produrre fino a 2000 baccelli all'anno e, diversamente dagli alberi da frutta delle zone temperate, questo avviene durante tutto l'arco dell'anno. Su una pianta si possono vedere crescere gli uni accanto agli altri, direttamente inseriti sul tronco, sia fiori sia baccelli. I baccelli, poi, possono essere a diversi stadi di crescita, da quelli appena formati, piccolissimi, a quelli già pronti, enormi, che arrivano a pesare sino a mezzo chilo. Questo è uno dei motivi per cui i baccelli maturi devono essere raccolti a mano e con delicatezza, per non danneggiare quelli in crescita. Ed è quello che fanno da generazioni le famiglie dei raccoglitori nei Paesi che si trovano vicino all'Equatore; dobbiamo ringraziare la loro perizia se la nostra passione per il cioccolato può essere soddisfatta.
Dopo la raccolta, che viene fatta con il machete o, per i frutti più in alto, con un lungo bastone a cui è stata applicata una lama, i baccelli vengono aperti direttamente sul posto, depositando i semi e la polpa in ceste, oppure vengono trasportati in zone destinate a questa operazione. Per aprirli senza danneggiare i semi ci vuole una grande abilità; un buon lavoratore può aprirne anche cinquecento in un'ora e non ci sono macchinari che possano sostituirlo.
Le fave di cacao sono di colore biancastro leggermente rosato (se sono della varietà criollo) o rossastro (se forastero), a questo stadio, per colore, consistenza e sapore, non hanno nulla che possa anche lontanamente evocare il cioccolato. Esse infatti sono molto amare! Ciò non accade per caso: la natura ha fornito i baccelli del cacao di una bellissima forma e di una dolce polpa al loro interno, e questo fa sì che le scimmie e altri animali tropicali ne siano ghiottissimi. Se, però, mangiassero assieme alla polpa anche le fave, la pianta sarebbe condannata all'estinzione. Invece, le scimmie imparano rapidamente che la parte buona da mangiare è la polpa e buttano via le fave, che potranno così dare origine a nuove piante.
Gli esseri umani hanno però immaginato una soluzione per aggirare l'ostacolo del sapore amaro: la fermentazione.
La fermentazione e la tostatura delle fave di cacao
Ed eccoci arrivati alla prossima tappa del nostro percorso. La fermentazione è un processo chimico, dovuto all'azione di enzimi batterici, durante il quale composti complessi vengono degradati a composti semplici. Nel caso del cacao, gli zuccheri della polpa vengono scomposti dagli enzimi in aceto e altre sostanze acide, e questo passaggio è fondamentale per fornire al cioccolato il suo caratteristico sapore.
Per accelerare il processo di fermentazione, le fave, polpose e appiccicaticce, vengono raccolte in grandi secchi e quindi coperte con foglie di banano. Questo fa sì che inizi subito la fermentazione e che la temperatura salga sino a circa 50 °C. La polpa inacidisce rapidamente e si scioglie completamente. È in questa fase che i composti amari e gli astringenti presenti nel cacao si trasformano in sostanze più gradevoli. Inoltre la temperatura alta e l'acidità eliminano la parte embrionale che si trova all'interno delle fave (la parte cioè destinata a germogliare), passaggio essenziale perché queste inizino ad acquisire l'aroma del cioccolato. La durata della fermentazione dipende dalla varietà utilizzata. I criollos, già meno amari in origine, hanno bisogno di un paio di giorni, mentre per i forasteros ce ne vogliono almeno sei.
A questo punto, per bloccare il processo di fermentazione, i baccelli vengono essiccati al sole, stesi su lunghi vassoi di legno e girati periodicamente. Durante l'essiccazione si verificano altre trasformazioni chimiche, fondamentali per determinare il sapore. Di notte i vassoi vengono coperti o messi al riparo per evitare che l'umidità intrida i baccelli. Dopo alcuni giorni, quando il grado di umidità è sceso sotto l'8% e i baccelli hanno perso la metà del loro peso originale, le trasformazioni chimiche si interrompono. Adesso le fave hanno assunto un bel colore bruno e sono pronte per essere mandate agli stabilimenti (ovviamente, se la fabbrica non si trova proprio lì, nella foresta tropicale).
Nello stabilimento i baccelli vengono tostati almeno per una ventina di minuti a una temperatura di circa 230 °C (anche in questo caso, i criollos necessitano di un tempo più breve dei forasteros). La tostatura accentua il sapore e scurisce le fave, proprio come avviene per il caffè, per il quale si usa il metodo di 'supertostatura' francese solo quando si devono trattare chicchi scadenti, altrimenti per le qualità superiori, meravigliosamente aromatiche, si pratica una torrefazione decisamente più leggera, per non alterarne il sapore aggiungendo un sentore di 'bruciaticcio'. La stessa cosa avviene per il cacao di grande qualità. Dopo la tostatura le fave diventano friabili, molto scure e cominciano veramente ad assomigliare al cioccolato e ad averne il meraviglioso profumo.
Dal liquore di cacao al cioccolato 'vero'
Conclusa la tostatura delle fave, bisogna rimuovere i gusci secchi e fibrosi per arrivare alle fave cremose che si trovano all'interno. Per fare questo ci si avvale di una macchina che le pressa leggermente, o meglio, le frantuma: la pellicola più leggera viene fatta volare via e ciò che rimane sono le nibs, cioè il cioccolato grezzo. Le nibs sono pressate da una macina, che le trasforma in una densa pasta detta liquore di cacao. Il termine 'liquore' può dare origine a fraintendimenti: infatti l'alcol non è presente e di liquido ce n'è ben poco.
Questo impasto è composto per circa metà da burro di cacao e per metà da cacao solido.
Siamo ora giunti a un bivio decisivo: che strada prenderà il granuloso liquore di cacao? Questo dipenderà dal prodotto finale che si vorrà ottenere.
Per produrre autentico cioccolato, bisogna modificare la viscosità e la consistenza della pasta in modo da renderla omogenea e plasmabile. Questo si ottiene in due fasi: prima bisogna, attraverso una forte pressione, far uscire il liquore di cacao, poi si deve aggiungere altro burro di cacao (il grasso naturale dei semi di cacao) e, quasi sempre, della lecitina. I macchinari eseguono la prima 'schiacciatura' del liquore di cacao. Quindi, dopo essere stato mescolato con zucchero in polvere e con gli aromi richiesti per quello specifico prodotto (la vaniglia è il più comune), il liquore viene fatto passare in un raffinatore - composto da cilindri di acciaio distanziati meno di 0,0025 cm - arrivando così ad avere una perfetta plasmabilità, cioè una sostanza senza grumi.
A questo punto entra in gioco uno dei grandi segreti del cioccolato moderno: la conca - parola che allude alla sua caratteristica forma - che fu inventata nel 1879 dallo svizzero Rodolphe Lindt, il fondatore dell'omonimo impero del cioccolato. Il sistema prevede che il liquore di cacao venga versato in una conca che funge da gigantesco miscelatore dell'impasto; qui, una serie di bracci oscillanti lo mescola, lo amalgama, lo gira e lo rigira, per un periodo che va da un minimo di qualche ora, per il cioccolato di scarsa qualità, fino anche a tre giorni, per quello di qualità superiore. Il concaggio, oltre a ridurre ulteriormente le dimensioni delle particelle dei cristalli di cacao e zucchero, migliorando la plasmabilità del prodotto, scatena l'ultimo 'giro di danza' nel carosello dei sapori.
Naturalmente, non bastano le macchine a trasformare il liquore di cacao in cioccolato finito, occorre aggiungere altre sostanze grasse - il burro di cacao, ovviamente, ma anche la lecitina - senza le quali il prodotto sarebbe duro e friabile. La lecitina è un grasso vegetale insapore, ottenuto in genere dai semi di soia, molto più emulsionabile del burro di cacao, che contribuisce a conferire al cioccolato la sua consistenza liscia e vellutata. La lecitina è anche molto meno cara, e questo rappresenta un problema; infatti ci sono alcuni produttori, poco interessati alla qualità, che per aumentare i profìtti preferiscono estrarre dal liquore il burro di cacao, rivenderlo all'industria cosmetica, dove è molto richiesto perché ottimo per la pelle, e acquistare lecitina a basso costo. Chiaramente il prodotto ottenuto ha molto meno sapore di cacao, ma questo non ha molta importanza, dato che ciò che in realtà il consumatore cerca in un cioccolato dozzinale è semplicemente il sapore dolce dato dallo zucchero.
Inutile dire che, nella storia del cioccolato, lecitina e zucchero non sono certo stati gli unici ingredienti con cui è stato 'tagliato'. Il XIX secolo abbonda di cioccolato 'aggiustato': per tagliarlo si usavano soprattutto farina di riso, frumento, lenticchie, orzo, piselli, patate, fecola, olio di mandorla. La situazione degenerò a tal punto che quando, nel 1950, la rivista medica britannica "The Lancet" fece analizzare 70 campioni di cioccolato, si scoprì che ben 39 di essi erano stati colorati con polvere rossa di mattoni! Fortunatamente l'attuale legislazione a questo riguardo prevede che il cioccolato puro debba essere fatto esclusivamente con liquore e burro di cacao, zucchero, lecitina, vaniglia, aggiungendovi il latte solo nel caso del cioccolato al latte. Con la presenza di zucchero, lecitina e latte, tra i meno costosi degli ingredienti, i fabbricanti senza scrupoli sono sicuramente meno incentivati ad adulterare il cioccolato.
Dopo l'aggiunta di burro di cacao e lecitina durante il processo di concaggio (che per l'attrito riscalda anche il prodotto), quella mistura - che ora possiamo chiamare cioccolato - si tempera, raffreddandosi lentamente. Anche durante questa prima fase del raffreddamento occorre un rimescolamento continuo, affinché i cristalli di burro di cacao restino in sospensione e venga impedita la formazione di agglomerati che provocherebbero macchie, grumi, bolle.
L'ultimo passaggio consiste, finalmente, nel versare il cioccolato liquido negli stampi. Qui si raffredderà completamente e si solidificherà nelle forme più diverse: barre, tavolette, coniglietti o uova. Una delle caratteristiche più straordinarie del burro di cacao è quella di essere fra le poche sostanze che passa da solida a liquida a una temperatura inferiore a quella del corpo. E questo vuol dire che per scioglierlo basta semplicemente un buon palato volonteroso.
Il cioccolato al latte
La fabbricazione del cioccolato al latte segue lo stesso procedimento del cioccolato nero fondente, ma con una differenza importante: il latte, sia in polvere sia condensato, è addizionato al liquore prima della raffinazione e del concaggio. La cremosità e il gusto delicato del cioccolato al latte hanno prevalso sul sapore più 'adulto' di quello fondente, ma i produttori potrebbero aver avuto un altro motivo per dare priorità a questo prodotto: il latte, come lo zucchero, è di gran lunga meno caro del cacao. Nella storia dell'alimentazione del XX secolo si è riscontrato un allontanamento dai sapori più forti e decisi in favore di quelli più sfumati e delicati, tali da non risultare ostici al palato della maggioranza dei consumatori.
Negli ultimi vent'anni, però, un interessante processo in controtendenza ha visto un ritorno a una maggiore attenzione per prodotti di qualità, dalla forte e spiccata 'personalità', quali vini, formaggi, pane, caffè e ora anche cioccolato. Un fenomeno, questo, davvero rincuorante.
Il cacao in polvere
Come il cioccolato moderno, vellutato e omogeneo, anche il cacao in polvere deve la sua esistenza alla Rivoluzione industriale. Sebbene siano stati gli svizzeri gli artefici delle principali innovazioni in questo settore, a creare il primo cioccolato in polvere fu l'olandese Coenraad van Houten.
Dopo che le nibs di cacao sono state macinate, il liquore che ne deriva è all'incirca per metà solido, e per l'altra metà burroso. Van Houten fu il primo ad avere l'idea di far passare il liquore in enormi presse idrauliche - che esercitano una pressione fino a circa 450 kg per cm quadrato - processo attraverso il quale si riesce a estrarre circa la metà del burro di cacao. Ciò comporta due grandissimi vantaggi: il primo consiste nel fatto che il burro di cacao puro, molto ricercato dalle industrie alimentari, farmaceutiche e cosmetiche, può essere venduto a prezzi elevati; il secondo è che la restante 'tavoletta' a basso contenuto di grassi può essere ridotta in polvere con svariate possibilità di impiego.
La polvere di cacao, anche se perde molto del suo sapore originale, è decisamente più versatile, e il suo impiego su scala industriale, per esempio per la produzione di gelati o caramelle al cioccolato, è particolarmente diffuso per la sua leggerezza, stabilità, semplicità di lavorazione.
Oggi, chi vuole prepararsi una tazza di cioccolata calda, invece di dover grattugiare un blocco solido, può tranquillamente e senza fatica sciogliere la polvere in acqua. Van Houten risolse anche il problema legato al fatto che la polvere di cioccolato non è facilmente solubile perché tende a raggrumarsi. Il geniale olandese pensò di trattarla con una sostanza alcalina, che rendesse più facile scioglierla. È vero che il trattamento ne attenuava un po' il sapore e ne scuriva il colore, ma molti consumatori cominciarono decisamente ad apprezzare il gusto più 'leggero' di questo cioccolato 'olandese', tanto che, erroneamente, oggi viene considerato come un prodotto di fascia superiore.
Tratto da "Il Cioccolato Fa Bene" di Rowan Jacobsen. Red! Editore.